domenica 6 aprile 2014

Liberi pensieri post-torneo


(Foto di Alessandro Gennari da http://pianetascherma.com)

Perché si partecipa ad un torneo?
I più solitamente rispondono "per vincere ovviamente!"
Posto che vincere è un obbiettivo sempre valido (francamente non ho mai digerito la storia del "si gioca per partecipare"), in realtà la partecipazione ad un torneo ha ben altre finalità, per quanto noi possiamo ignorarle. Anzi, la consapevolezza di queste finalità ci aiuterebbe a sfruttare di più questi eventi. In un torneo il vincitore è uno e solo uno. Sempre. Potrete vincere questo o quel combattimento, ma ci sarà sempre qualcuno che vi farà mangiare la polvere.

Perché partecipare ad un torneo di combattimento, anche se si è dei novizi?
Ebbene la risposta è semplice. Sopratutto i novizi dovrebbero partecipare ai tornei (una volta apprese le basi necessarie per non finire come una banana nel frullatore!).

Sono i tornei che ci permettono di confrontarci con combattenti "nuovi", di cui non conosciamo le abilità.
Sono i tornei che ci permettono di rubare nuove tecniche da studiare e sperimentare in futuro.
Sono i tornei che ci mettono di fronte a persone di cui non sappiamo nulla, permettendoci di sviluppare (in modo graduale) quella lucidità mentale che abbiamo "fatto nostra" combattendo con i nostri abituali sparring partner.
Sono i tornei che ci mettono di fronte all'inaspettato e all'imprevedibile. Combattere sempre con le stesse persone crea feeling, rende possibili molte cose, ma ne preclude altre. Conoscere perfettamente i movimenti del nostro compagno, quando e come colpirà, non ci semplificherà l'esperienza con dei perfetti estranei.
Sono i tornei che mettono ripetitivamente il novizio (quanto il combattente navigato) di fronte alla stessa sensazione che si prova quando si prende l’arma in mano per il primo, vero, combattimento.
Sono i tornei che permettono di crescere, come persone e come marzialisti.
Sono i tornei che presentano i colpi di scena più inaspettati, che rendono lo sport degno di essere vissuto, è nel confronto, nello scambio e perfino nella sconfitta che si apprende qualcosa.
Sono i tornei che formano i novizi troppo promettenti, che hanno vinto quasi sempre o che si sentono particolarmente baldanzosi. La "sbruncata" in terra (sbattere il muso), per dirla "alla Sarda" è l'unica medicina per questi casi.
Sono i tornei che ci ricordano come anni di lavoro possono essere bruciati per un ritardo infinitesimale nel dare un colpo. Non importa quante migliaia di colpi siano stati provati negli innumerevoli allenamenti.
Sono i tornei che ci fanno scendere da quelle pedane immaginarie che ci creiamo nelle nostre ristrette realtà a porte chiuse.
Sono i tornei che ti aprono "un mondo".
Sono i tornei che ti sbattono di fronte la realtà. Quanto ti sei allenato e quanto ci hai dedicato.
Il dio del combattimento è insensibile alle suppliche e avaro nell'elargire premi.
Non esistono giustificazioni di fronte ad un colpo che ti arriva dritto in piena faccia senza che tu sia riuscito manco a vederlo.
"Ero stanco", "ero distratto", "mi faceva male questo o quello", "mi ingombravano le protezioni". Sono solo cazzate che ci diciamo per attenuare la delusione della sconfitta.
Perché in fin dei conti, il vero scopo di un torneo non è combattere con qualcun altro.
Scendiamo nel quadrato per combattere con noi stessi. L'avversario è solo il mezzo, unico e necessario, per fare da tramite con la nostra immagine speculare.
Siamo noi l'avversario da sconfiggere e da domare.
Una volta raggiunta questa consapevolezza, questo stato di "pace mentale" il più è fatto.

Allora, e solo allora, il dio del combattimento (avaro ma giusto) ci darà quel che ci spetta.

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