(liberamente tratto dai primi capitoli della tesi di laurea triennale dell'autore)
La domanda se gli esseri umani siano intrinsecamente violenti o pacifici è uno dei dilemmi più profondi e persistenti della filosofia e della scienza. È un interrogativo che sfida la nostra comprensione di noi stessi e del nostro posto nel mondo. Per cercare di fare luce su questa complessa questione, possiamo attingere a diverse discipline, dall'etologia alla paleoantropologia, esaminando sia il comportamento dei nostri parenti più prossimi nel regno animale sia le tracce lasciate dalle società umane più antiche.
Le Radici Biologiche: Uno Sguardo al Comportamento degli Scimpanzé
Quando si parla di aggressione nel mondo animale, gli scimpanzé (Pan troglodytes) offrono un punto di partenza illuminante. Condividendo circa il 92% del nostro patrimonio genetico, questi primati mostrano comportamenti che vanno ben oltre la difesa territoriale o la caccia per la sopravvivenza. Gli scimpanzé sono stati osservati ingaggiarsi in attacchi organizzati contro gruppi rivali, che possono portare a ferimenti gravi o alla morte. Questo tipo di violenza intraspecifica, non legata alla predazione, solleva interrogativi scomodi: se i nostri cugini evolutivi mostrano tali tendenze aggressive, è possibile che una predisposizione simile sia radicata anche nella nostra biologia?
Tuttavia, è cruciale non cadere nel determinismo biologico. Sebbene le predisposizioni possano esistere, il comportamento umano è profondamente modellato da fattori culturali, sociali e ambientali.
Il Dibattito Filosofico: Dal "Buon Selvaggio" alla Lotta per la Sopravvivenza
Il dilemma della natura umana ha radici profonde nella filosofia occidentale. Figure chiave dell'Illuminismo hanno offerto visioni contrastanti:
Jean-Jacques Rousseau proponeva il mito del "buon selvaggio", un essere umano fondamentalmente pacifico e virtuoso per natura, corrotto solo dalla società e dalle sue istituzioni. In questa prospettiva, la violenza è un'aberrazione acquisita.
Al contrario, pensatori come Thomas Hobbes argomentavano che, senza un'autorità centrale che imponga l'ordine, la vita umana sarebbe una "guerra di tutti contro tutti" (bellum omnium contra omnes), una condizione brutale e priva di morale. Per Hobbes, la civiltà e le sue regole sono necessarie per frenare le innate tendenze aggressive dell'uomo.
Queste diverse posizioni evidenziano la polarità del dibattito, che raramente trova una risposta semplice e universale.
Testimonianze dalla Preistoria: L'Arte Rupestre del Levante Spagnolo
Un contributo fondamentale alla comprensione di questi temi viene dall'archeologia e, in particolare, dallo studio dell'arte rupestre. Un "recente" lavoro intitolato "The archaeology of warfare strategies and prehistoric hunter-gatherer societies: A case study from the Spanish rock art of the South-East Iberian Peninsula" offre uno sguardo senza precedenti sulle dinamiche sociali e conflittuali tra il Mesolitico e il Neolitico nel Levante spagnolo.
Le pitture rupestri non sono solo espressioni artistiche; sono veri e propri documenti storici che rivelano aspetti della vita quotidiana, delle credenze e, sorprendentemente, delle pratiche belliche e rituali di migliaia di anni fa.
Strategie di Guerra e Gerarchie Sociali
Tra le scoperte più affascinanti, emergono rappresentazioni dettagliate di quelle che sembrano essere alcune delle prime manovre tattiche militari organizzate. In particolare, l'immagine di un'azione di aggiramento del nemico suggerisce una sofisticazione strategica inaspettata per le società di cacciatori-raccoglitori del Mesolitico. Questo implica non solo una capacità di coordinamento, ma anche una struttura sociale capace di organizzare tali operazioni.
Le scene di "danza della vittoria" o "combattimento rituale" sono altrettanto rivelatrici. Figure umane, spesso distinte da specifici attributi come copricapi o indumenti che potrebbero indicare un rango, danzano o esultano attorno a personaggi sconfitti o uccisi. L'identificazione di figure come "generali" o "comandanti" accanto a "soldati" più stilizzati suggerisce l'esistenza di gerarchie sociali e ruoli ben definiti all'interno delle dinamiche di conflitto. Resta aperto il dibattito se queste uccisioni fossero esecuzioni interne (per violazioni delle norme sociali) o il risultato di scontri con gruppi esterni.
Giochi, Rituali e il Confine con la Violenza Letale
Ancora più intriganti sono le raffigurazioni di arcieri che si affrontano in duelli, talvolta in scenari isolati. Queste scene potrebbero rappresentare:
Miti o Leggende: Racconti visivi di eventi eroici o fondanti.
Giochi Rituali: Competi che simulavano il combattimento, forse con regole che limitavano il danno letale. L'analogia con le osservazioni antropologiche di popolazioni in Nuova Guinea è lampante: alcune culture praticavano forme di combattimento rituale o giochi competitivi che, pur potendo causare ferite, non erano necessariamente intesi a essere mortali. L'influenza missionaria in queste aree ha talvolta portato alla sostituzione di questi giochi con attività meno violente, come il calcio, suggerendo la malleabilità culturale delle pratiche aggressive.
Forme di risoluzione dei conflitti non letali: È possibile che questi "giochi gladiatori" fossero un modo per risolvere dispute o stabilire gerarchie senza ricorrere alla guerra su vasta scala.
I "Pugilatori" di Monte Prama: Un Caso Mediterraneo
L'analisi di queste testimonianze preistoriche si collega anche a scoperte archeologiche di altre regioni, come i "pugilatori" di Monte Prama in Sardegna. Queste enigmatiche statue nuragiche, raffiguranti guerrieri con scudi e quello che potrebbe essere un pugnale inserito in un guanto rigido, sollevano domande simili sulla natura rituale o bellica dei loro combattimenti. La loro datazione (tra la fine dell'età del Bronzo e l'inizio dell'età del Ferro) suggerisce che le pratiche di conflitto e rituale avevano una lunga storia nel Mediterraneo.
https://www.academia.edu/40540187/Gladiatori_di_Mont%C3%A9_Prama
Conclusioni: La Violenza come Costrutto Sociale?
Il viaggio attraverso il comportamento animale, la filosofia e l'archeologia ci porta a una conclusione complessa: la questione se gli esseri umani siano intrinsecamente violenti non ha una risposta semplice. Le evidenze suggeriscono che, sebbene possano esistere predisposizioni biologiche, la violenza e la guerra non sono inevitabili manifestazioni di una "natura" fissa. Piuttosto, sembrano essere strettamente intrecciate con l'organizzazione sociale, la cultura e i contesti specifici in cui le comunità si sviluppano.
Molti studi, inclusi quelli sull'arte rupestre citati, mostrano che diverse comunità preistoriche hanno affrontato e risolto i conflitti in modi disparati: attraverso la cooperazione, i rituali pacifici, la mediazione o, quando tutto falliva, la guerra. La capacità di scelta e adattamento, la malleabilità del comportamento umano in risposta alle pressioni sociali e ambientali, è forse la nostra caratteristica più distintiva.
La ricerca continua su queste antiche testimonianze non ci fornisce risposte definitive, ma ci offre strumenti preziosi per comprendere meglio le dinamiche che hanno plasmato la nostra specie e, di conseguenza, le sfide che ancora oggi affrontiamo nella costruzione di società più pacifiche.
Cosa pensate, come studiosi o appassionati, di questa complessa interazione tra biologia, cultura e comportamento nel definire la natura umana?








